Quando Paolo Cipolletta, eccezionale e stimolante regista e sceneggiatore, ha avuto la necessità di raccontare il suo punto di vista su uno dei più bei frutti della follia dell’umanità, la nostra amata Napoli, mi ha lanciato una sfida: Voglio fare un cortometraggio di fotografia, dove il punto di vista si fa carne e sangue, lava e fango. 

“Uocchie C’Arraggiunate”, occhi che ragionate nella traduzione letterale, celebre poesia/canzone il cui testo (di Alfredo Falconi Fieni, nella prima versione musicato da Rodolfo Falvo) fu reso immortale dall’immenso Eduardo De Filippo che lo declamava come serenata in una delle sue opere teatrali, ha preso forma in un messaggio visivo contrastante e potente come tutti gli idiomi della lingua napoletana. 

Mai come in questo lavoro gli interrogativi e le risposte mi balzavano di fronte. Gli occhi, il nostro sistema di decodifica di ciò che ci circonda, hanno tre verbi per codificarne la funzione: Vedere, Guardare, Osservare. Noi avevamo l’obbligo dettato dalla sceneggiatura di Osservare per generare un punto di vista. Badate bene non “il punto di vista”, ma “un punto di vista” e non solo quello del Regista/Sceneggiatore o del Cinematographer o il consueto point of view, ma il personale punto di vista di chi in maniera soggettiva si imbatte nella visione di una realtà piena di contraddizioni.

I tre personaggi dei racconti che si intrecciano in maniera indissolubile, hanno la stessa matrice fotografica che identifica i due momenti del racconto, uno cupo/siderale/tetro/losco e l’altro Luminoso/Intenso/Esplosivo, tutto sempre racchiuso in un’unica matrice fatta di eleganza del linguaggio cinematografico.  L’obiettivo, infatti, delimita il campo in modo totalizzante ed allo stesso modo lo fanno le diverse attrezzature utilizzate. Camera a spalla per la prima fase e carrello su binario per la seconda, una soggettività non sempre infallibile quanto trascinante nel catalizzare l’opinione nello spettatore e l’altra totalmente opposta. Solo alla fine si comprende quanto tutto questo sia completamente fuorviante e il “buono” era nella prima fase del racconto mentre il “cattivo” si celava nascosto in bella vista.  Così come nella fotografia, essenziale e necessaria con fonti luminose dettate dalla geografia delle location, nella fase di sviluppo dell’immagine (Color) abbiamo trascinato la sensazione visiva verso quelle sensazioni emotive.

La prima sfida (nella fig.1 il frame Ungraded, lo stesso frame con una color di primo livello e poi con la Color-Grading definitiva della scena alle terme di Agnano) è stata snaturare la bellezza del cratere di Agnano al tramonto. Mi sono ispirato ad una vecchia tecnica, nata per errore al tempo dello sviluppo della pellicola,  denominata Bleach Bypass, dove si saltava artatamente il bagno di sbianca della pellicola per lasciare tutti gli alogenuri d’argento, così l’immagine ha mantenuto una metallicità ed una desaturazione “inconsuete”. La maschera di contrasto ha fatto il resto, consegnando la consistenza dei fumi sulfurei presenti in maniera massiva e lasciando il protagonista al centro dell’attenzione seppur sommerso dalla natura infernale del luogo. Sul Pontile Luca Gallone è sospeso sulla materia prima di cui è fatta Napoli: il Magma. È un’immagine di morte, cromaticamente siderale.

Con Gianluca Di Gennaro,  in un retrobottega intento a costruire un ordigno artigianale, la luce colpisce violentemente il piano da lavoro e si riflette sul suo volto dal basso mentre una flebile luce rossa “di una porta allarmata” fa da riempitivo (fatta con un Litepanels Gemini 2×1 settato con una gelatina elettronica Rosco RS124), appena percepibile, tutto il resto attorno è immerso nel buio. Una condizione che aiuta la messinscena del malefatto come se fosse un nascondiglio reale. 

In questo frame (fig.2) la fonte luminosa in BackLight avvolge le forme dell’attore che con una significativa maschera di contrasto si esaltano fino a far percepire le vene che avvolgono le mani e  la tensione nella muscolatura del corpo e del volto.

Con un’altra tecnica di illuminazione e fonte di luce Gianfranco Gallo (fig. 3) ci accompagna in un antro dove pare evidente sia pronto a commettere un atto di sopraffazione. La luce tagliata e azimutale ci consegna un volto duro e intriso di rabbia, mentre l’attore protagonista della terza messinscena impugna una spranga di ferro. 

Quando tutto sembra chiaro, il suono di un accendino nel buio innesca la rinascita. Rispettando lo stile del Regista, non aggiungo altro e vi lascio con una celebre frase di Alfred Hitchcock: “C’è qualcosa di più importante della logica: è l’immaginazione”.

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